cucinaMancina a “Il libro possibile” di Polignano

Quando ero piccola, la mia maestra ci diceva che eravamo fortunati, perché nell’epoca moderna in cui stavamo vivendo, non si obbligavano più i bambini a usare la mano destra. Ci raccontava che la parte destra del cervello, che comandava per uno strano gioco d’incroci anatomici la mano sinistra, era la più creativa e che era bene lasciare in quei casi particolari la libera scelta, per non costringere e per ottenere in molti casi risultati migliori.
Quello che succedeva a noi ragazzini era che invidiavamo un po’ questi mancini dal fascino creativo e un po’ rivoluzionario.

Poi durante un corso di tiro con l’arco ho scoperto, di essere mancina anch’io. Ho scoperto che se tiravo da mancina riuscivo finalmente ad avere risultati apprezzabili e soprattutto a far smettere di ridere gli amici presenti e sempre pronti a sfottere. E non lo nego, mi sono sentita più figa.

Quando Flavia Giordano e  Lorenza Dadduzio mi hanno parlato di cucinaMancina durante Next a Milano (che tra l’altro hanno vinto come migliore food startup e un po’ è anche colpa mia e di Sonia Peronaci che eravamo in giuria) ho scoperto che parlavano di mancinità in ambito food come piace a me, e ho gioito. Sì è vero, si dice mancinismo, ma solo quando s’indica una malattia, mentre la mancinità è stata coniata da Flavia e Lorenza come termine totalmente positivo e indice di sana creatività.

Vegetariani, vegani, allergici, intolleranti, e poi tutte quelle persone che hanno una maggiore consapevolezza di ciò di cui scelgono di nutrirsi. Meno sodio, meno zucchero, con frutta, crudo o senza uova. Non importa, siamo tutti un po’ mancini e se non lo siamo, forse dovremmo diventarlo… Continua a leggere